Ogni esempio di testo costruito secondo regole precise apre la molteplicità "potenziale" di tutti i testi virtualmente scrivibili secondo quelle regole, e di tutte le letture virtuali di quei testi. Italo Calvino
SIRENE
Fascinazioni
Biblioteca Oplepiana N. 28
(2008)
Interventi di:
Elena Addomine (Le sirene: Partenope e le altre), Anna Busetto Vicari (La fine della Sirena), Brunella Eruli (Quel che c'è in una sirena), Daniela Fabrizi (Io sono), Paolo Albani (Sette variazioni sul canto notturno delle sirene), Raffaele Aragona (canzone ansiosa: scorcio amoroso con sirene), Ermanno Cavazzoni (Sulla copulabilità della Sirena), Domenico D’Oria (Da Trieste a Vieste), Sal Kierkia (Desinere in piscem), Edoardo Sanguineti (ballatella delle sirenelle), Giuseppe Varaldo (Sirenate), Giorgio Weiss (La sirena Partenope)
Le sirene: animali oplepiani
Le sirene sono per antonomasia l’incarnazione (o meglio, guardando certe raffigurazioni, verrebbe da dire «l’impescificazione») del richiamo, del richiamo seduttivo, attraente, che nell’immagine omerica si musicalizza in «un suono di miele». Nel caso della scrittura oplepiana (ma la riflessione si può estendere alla scrittura in generale) il richiamo è dato dalla sirena-pagina bianca, o in una versione più attuale sirena-schermo bianco del PC, che attrae lo scrittore e lo invoglia a scompaginare il candido pallore del foglio di carta o del video in ardimentose combinazioni di parole; una sirena-pagina bianca che esercita su chi scrive un fascino irresistibile perché alla fin fine, come sosteneva Kandinskij, che di colori se ne intendeva, il bianco non è che un ricettacolo di immagini mentali, di un silenzio ricco di possibilità, uno spazio – aggiungiamo noi - su cui tracciare la rotta di una personalissima navigazione linguistica.
Le sirene sono dei mostri o, a seconda degli studiosi, dei demoni: questa loro caratteristica ha vagamente un che di oplepiano, perché, a pensarci bene, anche negli esercizi oplepiani, fruttuosamente astrusi, serpeggia qua e là un pizzico di condimento teratologico, di mostruosa ricreatività. Non per niente il palindromo, così caro a Perec, fu ritenuto in passato un artificio satanico e i versi palindromi, per la loro struttura perfida, vennero chiamati appunto «versi del diavolo».
Le sirene sono creature dalla doppiezza corporea (uccello o pesce + donna) come doppie sono le letture che i testi oplepiani inducono. Dietro un testo oplepiano c’è quasi sempre un altro testo nascosto, implicito, da decifrare o un testo che funziona da richiamo, come il canto delle sirene, un testo di riferimento che viene trasformato e diventa un’altra cosa sotto l’effetto della «contrainte» che agisce perciò da fatale sovvertitrice, ruolo di nuovo metaforicamente riconducibile a quello, altrettanto incantatorio, delle sirene.
Ecco perché le sirene ci sono apparse subito come animali oplepiani e ne abbiamo fatto oggetto dei nostri sediziosi esperimenti, attenti a non farli infrangere violentemente sugli scogli della (sempre in agguato) banalità.
Daniela Fabrizi
IO SONO
(Incanto per Onda Sola)
Ti diranno Sirena Incantata, narrandoti di me, dolce signore che attraversi queste onde.
Sirene così nascono, una ogni mille anni, prima dell’aurora, quando il mare dimentica
il fragore snaturato della notte e sta fermo e liscio ad aspettare Oriente.
Ci chiamano così non per meriti più grandi, sconosciuti ad altre sirene. No.
Ci chiamano così perché non sappiamo cantare.
Di ogni cosa, ci manca quello che rende una sirena una vera sirena: il canto che rapisce
i cuori, spezza gli scudi, che frana le menti con spezie, olio, e lusinghe e sussurri.
Ci chiamano così perché nessuno, poeta o
marinaro o sapiente, ci ha mai cantate nella
passione, con versi di potenza e languore o nelle sere amare del rimpianto.
Incantate noi, senza canto, che non sappiamo incantare nessuno.
Incantate noi, silenti forzate, che volevamo essere come le altre.
Invano ancora sognano le sirene: di lasciare queste acque di sale per diventare come voi
umani, corsara stirpe di terra che sa amare e ridere e indugiare. Con la pelle nel vento e
gli occhi sopra il mare. Ma non io.
Io non questo cercavo per me. Nemmeno quando dimoravo miti lontani, memorie di
noi, allora fusione di donna e corpi di uccello, presagi veloci tra i rami e il sole.
Ali frastuoni silenzi improvvisi, già creature del mare a venire.
Io desideravo solo cantare l’acqua rapida di seta che mi scivola sul seno, le profondità
dei capidogli orgogliosi, gli anfratti di viola velluto, i lampi di luce corallina. Il dentello
di ocra spudorato delle gorgonie e le lame di azzurro latte che toccano il fondo.
Si negò, geloso, il Fato. Mi tolse musica e canto, lasciando in ritorno un nome che irride
il mio stato, tanto più amaro ogni giorno di inganno, nel tempo livido che non finisce.
Fermati ora, signore. Perché sei tu la mia speranza, il mio giorno che inizia.
Ascoltami, puoi spezzare l’incanto odioso. Se tu, anche solo una volta, una volta sola, mi canterai,
io lascerò questa prigione e respirerò l’aria nuova del mattino fino a mutarla
in giovane suono tra la lingua e il palato.
In canto si alzerà limpida, ruscello fresco di salvezza e senso e pace. E io sarò di nuovo.
Udrai argento sull’orizzonte del mio ventre chiaro, tra le squame lucenti della mia
nascita, dove riposa il mio nome. Urlalo alto. Lo incontri chiaro nelle righe di questo
incanto. Cercalo: si nasconde come ogni cosa che ha valore.
In ogni frase, in ogni riga, nell’aurora
di ogni verso.
Ti ho scelto un lipogramma. La lettera che manca, davanti al mio nome, dà la vita.
Scoprilo, io aspetto. Non dirigere la prua verso rive già conosciute che non chiedono
il tuo sudore. Canta il mio arcano. Solca quest’acqua per me e ti offrirò per sempre, in
ritorno, ormeggi sicuri e acque docili al tuo remo e alla tua vela.
Ti giuro solenne promessa. Ascoltami, ascolta, ricorda: io non canterò mai per te.
Credi, mio sogno. Non sarà il mio canto. Non sarò io, mai, a farti perdere. Non sarò Io.
CONTRAINTE E NOTE DI LETTURA:
1- In ogni riga, la prima parola contiene una sola “i”; la seconda una sola “o”; la terza una sola “s”, a formare il nome immaginario della sirena “IOS”
2- In tutto il testo manca la lettera B (lipogramma in“b”)
3- la lettera mancante, B, posta davanti al nome “iOS” della sirena immaginaria, forma la parola “BIOS”, vita.
4- nel testo ci sono indizi per capire qual è la lettera mancante e il nome della sirena; la composizione suggerisce come scoprire la contrainte, alla maniera di un enigma: "Ti ho scelto un lipogramma. La lettera che manca, davanti al mio nome, dà la vita."